Blue Gum Trees

Shaun l’aveva attesa in auto, sotto il sole. Gli era sembrato di sentirsi meglio, là fuori. Forse, il peggio era passato.
Intorno, i Blue Gum Trees si appoggiavano al cielo e disegnavano, contro l’azzurro, un ricamo in movimento.
Aveva fissato il volante, le sue mani. Poi, oltre il finestrino, gli alberi appena mossi. In bocca, quel sapore di silenzio sembrava scomparso. Quando alzava lo sguardo, quelle linee spezzate lo preseguitavano, un bruciore al petto che restava a lungo e poi si diluiva nell’aria, come il vento. «Non siamo qui per sempre», aveva detto il prete in chiesa, poco prima. La sua voce, mentre parlava dal pulpito, era roca, ruvida come il legno. Quella di chi ha fumato per tutta la vita senza mai pentirsene. A quel punto, nel silenzio dei respiri – un centinaio di fedeli – senza fare rumore, Shaun si era alzato. Mentre camminava verso l’uscita, il prete aveva interrotto il sermone e tutti gli occhi si erano rivolti altrove, a Shaun. Sciabole puntate contro di lui, sembravano quelle occhiate, ma il sole del mattino, all’uscita, aveva dissolto la paura e, con essa, il luccichio metallico degli occhi, dei giudizi.

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